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Migranti, ispezione di parlamentari dem nel Centro rimpatri di Caltanissetta: “Un inferno di buio e cemento”

Provenzano, Nicita e Iacono entrano nel Cpr di Pian del Lago e raccontano le condizioni “disumane” in cui sono costretti a vivere i 92 stranieri ospiti



Un inferno in cui tutto è reti e cemento, le persone numeri, l’assistenza, soprattutto legale, scarsa o inesistente. «Tutto lavora per una totale disumanizzazione delle persone che, per i più diversi e spesso incomprensibili motivi, ci finiscono dentro», dice il senatore dem Antonio Nicita. Insieme al responsabile Esteri del Pd Giuseppe Provenzano e alla deputata Giovanna Iacono ieri si è presentato al Cpr, Centro di permanenza per i rimpatri, di Pian del Lago, nel Nisseno, per un’ispezione. «Neanche le carceri peggiori sono così».

Nell’istituto tutto è cemento. Gelido. Impersonale. Come una gigantesca tomba. Non ci sono vetri alle finestre, ma solo plexiglass che poco serve quando il vento soffia e la temperatura scende. All’interno, l’umidità è quasi solida. La luce poca, fredda, artificiale. Come negli stanzoni. Una colata di cemento a terra, un parallelepido di cemento il letto, cemento coperto con una mano di stucco alle pareti mangiate da umidità antica. Lerce, come i giacigli, nulla di più di un materassino e una coperta buttati sul cemento.

Enormi e senza porte, le camerate non si scaldano mai. D’inverno sono celle frigorifere, d’estate forni. Lo stesso i bagni, ancor più umidi, dove il pavimento non si asciuga mai. I rubinetti si allineano uno dopo l’altro lungo la parete, ma non a tutti corrisponde un lavandino. Le docce sono una roulette: non tutte funzionano, non sempre c’è l’acqua calda, non sempre chi aspetta riesce davvero a usarle.

L’effetto — dicono i parlamentari che ieri hanno ispezionato la struttura — è claustrofobico. «A volte — racconta chi è prigioniero lì dentro — ci dicono se vogliamo pillole per dormire». L’unica alternativa a quegli stanzoni è un cortile spoglio, con un gazebo tutto aperto come unico riparo. Sulle pareti dei moduli che ci si affacciano sopra, qualcuno ha scritto il proprio nome, altri una riga di disperazione, semicancellata resiste una denuncia: «Benvenuto in Italia. Mafia italiana da Milano a Napoli fino a Tirana».

In questo modo vivono, o meglio sopravvivono, 92 persone. Fra loro, in quattro sono arrivati da Milo, dove per settimane sono stati costretti a vivere e dormire all’addiaccio, con un sacco della spazzatura e una coperta come letto. Fra loro c’è anche il ragazzo per il quale — su sollecitazione del suo legale, Angelo Raneli di Asgi — la Corte europea per i diritti umani ha ordinato l’immediato trasferimento a causa del trattamento inumano e degradante cui era sottoposto.

Peccato che nel passaggio da una struttura all’altra qualcuno gli abbia detto di firmare un foglio in italiano senza spiegargli cosa fosse. Era una rinuncia alla richiesta d’asilo, di fatto una candidatura al rimpatrio. I suoi legali hanno immediatamente presentato una diffida, su di lui hanno chiesto lumi anche i parlamentari. «Ci hanno assicurato che quella pratica verrà annullata — spiega Provenzano — ma molte persone non sanno per quale ragione siano lì, in tanti stavano in Italia da anni, hanno la famiglia fuori».

Non è difficile. Basta perdere il lavoro, e con quello il permesso di soggiorno, per diventare irregolari e rischiare il trattenimento. Altri arrivano dal carcere e — a dispetto della funzione rieducativa che la pena ha in Italia — la condanna che hanno scontato già basta per condannarli al Cpr. «Il problema non è questa o quella struttura — dice Nicita — ma il sistema che non è riformabile».

Per questo, annuncia Provenzano, «vorremmo organizzare un incontro con le associazioni per mettere a sistema quanto emerso da queste ispezioni e assumere adeguate iniziative politiche». Sui vari casi, sono state già presentate interrogazioni. «Ma il ministro non si è mai degnato di rispondere».


 
 
 

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